Sab. Mag 31st, 2025

Martina: Architettura e/è benessere

Piero Marinò

«Dimmi, poiché sei così sensibile agli effetti dell’architettura, non hai osservato, camminando nella città, come tra gli edifici che la popolano taluni siano muti, ed altri parlino, mentre altri ancora, che son più rari, cantano?» (Paul Valery, Eupalinos, 1921)

La ricerca di benessere è una costante nella storia dell’uomo.

Non alludiamo, evidentemente, al benessere economico, ma a quello spirituale.

Si parla, sempre di più, di qualità della vita, di eco sostenibilità, bellezza ambientale. In questa aspirazione un ruolo determinante lo assume il contesto territoriale, urbano. C’è una relazione molto forte tra benessere  e luogo: nei quartieri degradati e periferici di tante città la qualità della vita è ai minimi termini. Anche nelle città moderne, evolute, laddove l’architettura è costituita da grattacieli, costruzioni in cemento tutte uguali, palazzine anonime, è difficile, se non vano, ricercare il benessere spirituale.

A Martina e nelle città viciniori, Alberobello, Locorotondo, Cisternino, Ceglie, Ostuni, Noci, Castellana Grotte, Conversano, Monopoli, la parte più bella dell’abitato è rappresentata dagli antichi centri storici.

Tutta quella parte edificata a partire dal XIX secolo in poi è uguale, anonima, omogenea in ognuna di queste cittadine. Poco coinvolgente.

Oggi, lo vediamo, molti stranieri vedono nella Puglia, e ancora di più nel nostro comprensorio, le condizioni climatiche, ambientali, economiche idonee per vivere bene. 

Per quanto privo di alcuni servizi il nostro territorio è in grado di offrire  condizioni  favorevoli: la campagna conserva trulli molto richiesti e le modifiche apportate (piscine, wi fi..) sono il prezzo da pagare se vogliamo che questo patrimonio unico al mondo sopravviva. Vivere a contatto con questi meravigliosi ambienti calati nella natura crea benessere, fa stare bene.

Il nostro centro storico, poi, con il suo affascinante tessuto viario, con le chiese monumentali, i portali barocchi, le finestre di età rinascimentale, il reticolo  di vie, piazzette e slarghi, vicoli, costituisce, per chi lo sa guardare, un luogo incantato, magico, che va vissuto, contemplato nel più religioso silenzio – meglio se in solitudine – per godere della forza dirompente sprigionata dalla relazione dinamica esistente tra le forme artistiche. Non è senza motivo se un grande storico dell’Arte, Cesare Brandi, definì “unico” il nostro centro storico che contiene una dimensione sacrale: ogni angolo, ogni spazio, ogni forma artistica ha un’anima e noi, quando siamo tra le vie entriamo in contatto non con delle pietre, ma con l’anima di quei luoghi, con stati d’animo, aspirazioni rappresentate da quei manufatti.

Che si tratti di pietra, marmo, ferro, stucco o legno il motivo della spirale ricorre di continuo nell’architettura, nelle decorazioni presenti nei vari manufatti: simbolo dell’energia, collegato al divenire della vita, al tempo, è un’icona ancestrale che compare già in alcuni graffiti dell’era paleolitica.

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Alla base delle motivazioni che spingevano i ricchi proprietari agrari a far erigere, ristrutturare le proprie residenze figuravano il diritto alla qualità dell’abitazione, la necessità del simbolico e il desiderio della meraviglia.
Una percezione profonda di queste forme incide positivamente sul benessere individuale, sulla nostra psiche. Se riusciamo a stabilire una empatia con la facciata della basilica di San Martino, con un dettaglio di un portale barocco, con un mascherone apotropaico, con una cariatide, con la vita che è nell’architettura popolare noi possiamo ricevere le pulsioni, gli affetti, le emozioni che sono alla radice di quelle forme. Le forme architettoniche esprimono stati d’animo, condizioni dello spirito. Nella relazione tra noi e il contesto del centro storico il nostro corpo subisce gli influssi dell’arte, ne resta piacevolmente colpito. Noi ci modifichiamo ogni volta che riusciamo a stabilire un contatto empatico con questo patrimonio; stiamo bene interiormente; ci sentiamo spiritualmente appagati.

La materia, allora, diviene un trampolino per elevarsi verso lo Spirito: le forme che vengono incontro a noi, che si offrono al nostro sguardo, sprigionano energie, sono metafore incarnate, messaggi in codice, sicché le relazioni che riusciamo ad instaurare con gli ambienti del nostro centro storico possono modificare, migliorare la nostra psiche: ad ogni contatto che abbiamo con queste forme artistiche avviene un mutamento, più o meno consapevole, dentro di noi.

Se sostiamo a lungo nella osservazione delle facciate delle chiese di san Martino o san Domenico, non possiamo non condividere il pensiero di quel filosofo tedesco (Friedrich Von Schlegel, 1772 -1829) secondo il quale l’architettura è musica pietrificata: in entrambe queste alte forme espressive, infatti, compaiono principi come armonia, struttura, ritmo, simmetria, proporzione, accordi, movimento. In Architettura, come in Musica, c’è un tema centrale, che viene sviluppato e accompagnato, arricchito da variazioni che a volte si intrecciano. L’Architettura canta perché si mostra come una sinfonia procreata dalla musica che trova nuove forme espressive.

Un altro grande, lo scrittore francese Victor Hugo ( 1802 – 1885) affermò “La città è un gran libro di pietra su cui è possibile leggerne la storia e le architetture sono le sue pagine più eloquenti”. La bellezza del nostro centro antico deriva prevalentemente dalla silenziosa tessitura di tappeti di pietre e di case, dalla quale emergono alcuni monumenti eloquenti (palazzi barocchi) e, più rare, architetture liriche (chiese di San Domenico, San Martino).

La facciata della basilica mostra, nella sua complessità, un’impaginazione studiata, un’armonia contrassegnata dalla elegante disposizione degli elementi scultorei e decorativi. Due coppie di nicchie, ai lati del portale d’ingresso, che accolgono le figure dei Santi Pietro e Paolo, Giuseppe e Giovanni Battista sembrano avviare lo sguardo dell’osservatore verso l’alto, in direzione del  tema centrale, il gruppo equestre, avvolto da una conchiglia, con il Santo che taglia il proprio mantello. Sul timpano spezzato del portale non possono sfuggire all’osservazione le due sculture di angeli adagiati. Nell’opera “Vita di San Martino” di Isidoro Chirulli due angeli spinsero il Santo a proseguire l’abbattimento di un tempio pagano. Tra loro un piccolo giglio: lo stemma della famiglia d’Angiò cui si deve la fondazione di Martina. Al di sopra degli angeli un cherubino regge la rete dei pescatori: simbolo della chiamata alla parola di Cristo. Avancorpi di paraste e lesene scandiscono il ritmo della facciata, divisa in due da una solida trabeazione, sia nel registro inferiore che in quello superiore. Sei fiaccoloni esprimono la fiamma della fede sempre viva. Al centro del timpano sono scolpiti una mitria e un pastorale sormontati da una corona.

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L’Architettura è Musica e Storia, è culto, casa, linguaggio, espressione sociale, simbolo, marchio di civiltà, manifestazione di emozioni e desideri, sogno.

Nel nostro centro storico, dunque, abbiamo  uno scrigno, una miniera di potenziale emotivo da valorizzare come merita, da frequentare in tutti i suoi angoli più riposti.

Una passeggiata solitaria, assorta, tra le vie del centro storico è terapeutica.

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